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Rif. DC 056(2017)
20.04.2017

Il Comitato contro la tortura esorta gli Stati membri ad applicare la custodia cautelare in carcere unicamente come “extrema ratio” e in condizioni adeguate

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) esorta i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa a non imporre la custodia cautelare in carcere se non come ultima ratio e a offrire condizioni di detenzione soddisfacenti agli indagati sottoposti a carcerazione preventiva. Nel corso delle sue visite effettuate in istituti penitenziari di tutta Europa, il CPT ha spesso constatato che gli indagati in attesa di giudizio sono detenuti in pessime condizioni e sottoposti a un regime carcerario che consente scarse opportunità di attività formative e ricreative.

In numerosi paesi europei, il problema del persistente sovraffollamento delle carceri è dovuto in larga misura all’alta percentuale del numero di detenuti in custodia cautelare rispetto al totale della popolazione carceraria.

Nel suo rapporto annuale, pubblicato oggi, il CPT sottolinea la necessità per gli Stati membri di garantire, per quanto possibile, il ricorso a misure alternative alla detenzione cautelare, quali la revoca provvisoria della detenzione, la scarcerazione su cauzione, gli arresti domiciliari, il controllo mediante braccialetto elettronico, il sequestro del passaporto e l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria. Il CPT ritiene che tali misure dovrebbero essere ugualmente ipotizzate per i cittadini stranieri, frequentemente sottoposti a custodia cautelare perché si ritiene che nel loro caso possa sussistere un maggiore pericolo di fuga.

Il Segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha dichiarato: “Il CPT ha regolarmente individuato gravi carenze nelle condizioni in cui versano i detenuti in attesa di giudizio in Europa. Invito quindi tutti gli Stati ad assicurare che le loro condizioni di detenzione siano conformi alle norme relative ai diritti umani e che la custodia cautelare in carcere sia applicata soltanto se assolutamente necessaria, così da permettere di ridurre il sovraffollamento carcerario”.

“La custodia cautelare in carcere può comportare un grave trauma psicologico (il tasso di suicidi registrato tra i detenuti in attesa di giudizio può essere molto più elevato rispetto a quello dei condannati in via definitiva), e può avere altre serie conseguenze, quali il deterioramento o la rottura dei legami familiari, la perdita del lavoro o dell’alloggio”, ha dichiarato il Presidente del CPT, Mykola Gnatovskyy.

“La custodia cautelare in carcere dovrebbe essere imposta per il periodo di tempo più breve possibile. Dovrebbe essere motivata sulla base di una valutazione individuale della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, di fuga, di inquinamento probatorio, o di subornazione di testimoni, oppure di intralcio al corso della giustizia”, ha aggiunto.

In Europa, la frequenza e la durata della custodia cautelare in carcere sembrano variare notevolmente da un paese all’altro, e la percentuale degli indagati detenuti rispetto alla popolazione carceraria totale oscilla tra l’8% e il 70%. In media, circa il 25% dei detenuti negli Stati membri del Consiglio d’Europa non ha ancora subito una condanna definitiva, secondo le Statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa (SPACE). Per gli stranieri, tale proporzione risulta molto più elevata (circa il 40%).

In occasione delle sue visite nei diversi paesi nel corso degli anni, il CPT ha constatato che i detenuti in attesa di giudizio sono spesso collocati in celle decrepite e sovraffollate. In certi casi, il CPT ha concluso che tali condizioni detentive possono essere considerate inumane e degradanti.

Nel suo rapporto annuale, il Comitato si dichiara preoccupato per le restrizioni imposte in numerosi paesi agli indagati o imputati detenuti, in particolare per quanto riguarda i loro contatti con il mondo esterno. Tali restrizioni possono includere il divieto totale di effettuare/ricevere telefonare o di ricevere visite, o perfino l’isolamento. Il CPT sottolinea che qualsiasi misura restrittiva deve essere specificamente motivata dalle esigenze dell’indagine, deve essere subordinata all’approvazione di un’autorità giudiziaria ed essere applicata solo per una durata limitata.

Il CPT raccomanda, inoltre, di porre fine alla pratica osservata in alcuni paesi consistente nel trattenere gli indagati in strutture delle forze dell’ordine per settimane o perfino per periodi più prolungati. Tali locali non sono adeguati per soggiorni di lunga durata e la detenzione prolungata presso strutture delle forze dell’ordine aumenta il rischio di intimidazioni e maltrattamenti da parte di agenti di polizia.

Nel suo rapporto annuale, il CPT si compiace del fatto che nel 2016, l’Austria, la Finlandia, il Principato di Monaco e la Svezia abbiano autorizzato la pubblicazione automatica dei rapporti del CPT, unendosi così a Bulgaria, Lussemburgo, Repubblica di Moldova e Ucraina, che avevano già autorizzato questa prassi. In linea generale, i rapporti del CPT sono pubblicati su richiesta degli Stati membri interessati.

Nel 2018, il CPT effettuerà delle visite periodiche in Albania, Andorra, Georgia, Norvegia, Ungheria, Repubblica ceca, Repubblica slovacca e Romania.

Contatti stampa:

A Strasburgo: Jaime Rodriguez, Portavoce/Addetto stampa, Tel. +33 3 90 21 47 04;
A Bruxelles:
Andrew Cutting, Portavoce /Addetto stampa, Tel. +32 485 21 72 02

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Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) organizza visite nei luoghi di detenzione nei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, per verificare le condizioni di trattamento delle persone private della propria libertà. Ha la facoltà di visitare carceri, centri di detenzione minorile, commissariati di polizia, centri di ritenzione per immigrati irregolari, istituti psichiatrici, strutture e istituzioni di ricovero a carattere sociale. Dopo ogni visita, il CPT prepara un rapporto dettagliato contenente i risultati emersi nel corso della visita, nonché le sue raccomandazioni.